I MAGNIFICI SETTE del 2017

E niente. Siamo alfine giunti agli sgoccioli di questo 2017. Annata che, almeno personalmente, non ha regalato soddisfazioni sonore così enormi, se paragonata alle precedenti post '10. Ma sia chiaro, non ci si lamenta affatto: diciamo che, fondamentalmente, ho ascoltato il nuovo decisamente meno di quanto abbia fatto in passato, e alla fine mi sono ritrovato, per provare a stare in pari, a spelucchiare qua e là qualche classifica di fine anno di riviste cartacee e virtuali e blogz ben più autorevoli di quello del sottoscritto. Ma stare in pari per un amatore dell'ascolto come il sottoscritto, oggi, è decisamente difficile. Leggevo una riflessione simile su Bastonate (qui: http://www.bastonate.com/2017/12/13/recappino-2017/ [inoltre vi consiglio vivamente di leggere tutto quello che fuoriesce da Bastonate, perché trattasi, sempre secondo il modesto parare del sottoscritto, del miglior luogo virtuale in cui si parla di musica, e non solo] ) quindi non mi dilungherò più di tanto. Diciamo che la lista che vi plazo qui sotto è composta di 7 (più 1) album che ho apprezzato, amato e riascoltato a sfinimento, seguendo una distinzione per genere, laddove ho potuto. Molto materiale sonoro che sta uscendo dalla grande e piccola distribuzione, in fondo, non sembra come indirizzato verso l'ibridazione ed il superamento del genere? Non so rispondere, quindi rigiro la domanda a voi. Diciamo che io, pur non precludendomi alcun tipo di suono nei miei ascolti, e decisamente non-nostalgico, mi ritrovo ad ascoltare la maggior parte del tempo roba che, anche quando è pensata, o individuata da altri (o anche dal sottoscritto) come innovativa, diversa, è facilmente riconducibile ad un preciso genere o sottogenere o comunque definizione che associ a un sound. Dicevamo, distinzione per genere. L'ordine degli album è totalmente casuale, non si va dal più pacco al pi pregio.  La maggior parte dei dischi che ho selezionato li ho ascoltati durante l'anno, due invece li ho scoperti poche settimane fa tramite le famose classificone di fine 2017 di cui sopra. Ho dunque cercato di selezionare (tranne in quei famosi due casi) roba che non è stata molto cagata a fine anno, non per forza di nicchia (e cosa oggi è definibile di nicchia? Vi rigiro anche questa domanda) ma che secondo me vale davvero la pena di ascoltare. Per farsi un'idea di dove stiamo andando, ma in realtà per la necessità meno pretenziosa e più egoistica di farvi ascoltare ciò che ho veramente amato questo duemilaediciassette. E ce n'è di roba da amare: già questa è una bellissima notizia. Con la solita speranza: che il prossimo anno sia migliore.





1. hardcore - GLUE : S/T 



Basta la copertina. Davvero, c'è tutto lì. Considero i Glue i salvatori del punk, perché lo suonano come andrebbe suonato, distorcono tutto e urlano con una voce orribile. E poi perché a quanto pare ai live si presentano con la seguente formula: "WE ARE GLUE. FUCK YOU", che fa anche rima se pronunciato. Tecnicamente hardcore, in realidad il quartetto di Austin, Texas è ciò che è stato e sarà fino alla fine dell'uomo quel suono nato nella marcia suburbia losangelina nel 78-79 quando i Germs si facevano bandire da tutti i club della città per via della violenza che scaturiva durante i loro live e si esibivano in incognito. 

2. psichedelica - KIKAGAKU MOYO : Stone Garden


Se il precedente House in the Tall Grass si dedicava ad un lisegismo pacato, acustico, orientaleggiante (e non nel senso che i Kikagaku Moyo sono giapponesi ergo orientali, ma nel senso che il sound era un chiaro omaggio alla psichedelia '70 occidentale che si approcciava all'Oriente, secondo dunque , più che riferimenti, veri e propri stilemi sonori coniati e normalizzati, riconoscibili ma efficaci) questo EP del 2017 vira verso una frangia decisamente più chiassosa ed aggressiva: i riferimenti dei giapponesi sono in questo caso nella terra spaziale degli asteroidi tra gli Hawkwind e gli MC5, senza scordarsi però delle armonie angeliche che li hanno resi (alle mie orecchie) leggenda, e che emergono dal magma sonoro e rumoristico come soli che spuntano dal buio nero del cosmo. Bruciamo come stelle.


3. songwriting - MARK EITZEL : Hey mr. Ferryman


La copertina ricorda spaventosamente i titoli d'inizio della meravigliosa prima stagione di True Detective. E infondo anche in questo caso si tratta di enorme Epica americana. Nonostante tutto il disco sia stato registrato a Londra, le canzoni sono pregne di disillusione e di presa a male e di loneliness che era il pane quotidiano della storica band di Eitzel, che stranamente si chiamava American Music Club. Ti innamori di questo album, basta ascoltare di fila le prime due "The last ten years" e "An answer" e poi, no, non ne esci più. Questo è un disco per le notti più fredde, quelle che stanno arrivare in questo inverno. Esiste anche una bonus track, che molto semplicemente si intitola "The Singer" ed è dedicata a Jason Molina. 


4. wave - THE HORRORS : V


Ne ho parlato a lungo qui : https://settenoteinnero.blogspot.it/2017/09/dischi-crasti-horrors-v.html
Lo ritengo un grandissimo album. Punto e a capo.



5. pop - DENT MAY : Across the Multiverse


Questo disco mi è capitato virtualmente tra le mani fresco fresco d'uscita, a metà di agosto, ed è divenuto immediatamente la mia personalissima O.S.T. delle pedalate in bicicletta di questa estate. Ed è un disco molto estivo, da tramonto rosso. I testi non sono nulla di che, siamo onesti eh: trattasi comunque di riflessioni tra virtuale e analogico, tra ciò che è tangibile e ciò che è binario, in questo 2017 così frammentario. Ma, la questione è una: si tratta di POP. E che cosa dovrebbe fare il POP, nel'17 come nel '67? Tirarti fuori delle melodie perfette che ti si incastonano come diamanti tra le membrane cerebrali, roba che sboccia come fiori o cade come fiocchi di neve, così naturale ma magica ogni dannata volta, roba che canti già a memoria appena al secondo ascolto.  Ed è questo ciò che è, oltre l'omaggio beatlesaino, Across the Multiverse: un meraviglioso album di pop cristallino.



6. folk - RICHARD DAWSON : Peasant


Questo in teoria sarebbe un concept album sulla vita degli abitanti di un villaggio a Nord di Albione in pieno Medio Evo. E Dawson pare abbia passato davvero dei mesi su libri di storia ei documenti di allora a cercare informazioni riguardo la quotidianità, le superstizioni popolari e le condizioni di vita della plebe, per costruire questa galleria di personaggi - tipo, di ruoli (mago, prostituta ecc) che, immersi nelle disavventure di ogni giorno, diventano persone vere e proprie, non più, non solo semplici simboli esemplari di un determinato status sociale. E' forse il primo momento in cui si affronta un'epoca iperinflazionata nel mondo del rock quale il Medio Evo de-mitizzandolo, evitando di esaltarne il Mythos, le storie di amori cortesi e principeschi, le investiture regali e le battaglie coi dragoni, focalizzandosi sulle speranze, le leggende, le paure della plebaglia. Nella prassi, invece com'è l'album? Avete presente le diverse scene in cui gli abitanti dell'isola di "The Wicker Man" strimpellano la chitarra e cantano qualcosa di più antico dell'uomo? Ecco, l'effetto è quello. Molto più sbilenco e stonato. 


7. elettronica - CHINO AMOBI : Paradiso


Questo è l'album Dada dell'anno. Anzi, se mi chiedessero un disco che fotografa, nel macro e nel microscopico la metropoli del 2017, suggerirei senza alcun dubbio "Paradiso". La metropoli che è fotografata e si/ti fotografa, che alla mitologia dell'innalzamento da skyscrapers ha contrapposto la pratica della cementificazione e dell'espansione orizzontale in mari di cemento. Ed è anche di mari che si parla nell'album, dato che la metropoli in questione non è altro che quella narrata d Edgar Allan Poe in "The City in the Sea", che compare, recitata, come traccia apripista del lotto di Amobi. Il disco funziona come un grande collage: titoli scomposti e reincollati lungo le 20 traccie, i suoni del villaggio globale, (concetto vecchio come il cucco ma poche altre volte così sfacciato e violento), campionamenti stradaioli (grida e clacson), primitivi (etnici) e primordiali (pianti d'infante), momenti che sfiorano l'assurdo (brani con loop di rumori di motosega o, addirittura, canti di gallo), rap incazzoso nerobritannico di rimando garage & grime, ma anche trap e vocoder e canti esoterci trickyani. sono piccoli o grandi frammenti ma l'impressione all'orecchio (ed è ciò che mi ha davvero esaltato) è  che il risultato, il magma sonoro, la pasta di diversi linguaggi e lingue, non sia nulla di minimalista, anzi l'opposto: in moltissimi momenti si toccano apici patetici alla N.I.N.  di "The downward Spiral". 


gran finale - ARTO LINDSAY : Cuidado Madame


Questo è il mio disco dell'anno. E' andare alla deriva. Arto Lindsay è uno dei più grandi forgiatori di musica degli ultimi 40 anni. Un uomo che ha saputo scoprire e spingere, seguire l'onda quando c'era da seguire l'onda, scavare quando c'era da scavare, con l'entusiasmo puro di un bambino. Ho avuto l'onore di vederlo dal vivo per la prima volta in questo 2017, ce lo avevo  due passi da me e quello mi è parso, sotto le rughe e gli spessi occhiali, al di là dell'Angry e del Sexy: un bambino. Il testo di "Grain by Grain", che apre l'album, vale decisamente più delle mie banalità. 

I love my handwriting 

I love my hand writing your name 
On your belly 
Till you forget your name 

A sudden population drop 
Two of us at a time 
What color is the moon tonight 
Horizon dotted line 

I've drifted far enough away 
To confuse me with myself 
While you go grain by grain


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