CHARLES BRADLEY: l'importanza di un soprannome


Non so come mai, nella cultura popolare degli Stati Uniti, il concetto di soprannome, di A.K.A., sia di così vitale importanza. Mi piace pensare che si tatti di una sorta di rimando inconscio ai particolari nomi dei nativi americani, la cui scelta si basava sugli eventi legati alla nascita di un individuo, le cosiddette cause, e che si modificava spesso durante la vita dello stesso, seguendone le gesta, predicendone il destino. Davvero, non lo so. Ma, nella musica come nello sport, in particolare nel popolo afroamericano, vi sono degli exempla perfetti. Prendete quello che secondo il sottoscritto è il più grande A.K.A. della storia: The Big Dipper, l'Orsa Maggiore, volta a descrivere le gesta di Wilt Chamberlain, colui che segnò 100 punti in una sola partita NBA, l'uomo per il quale la stessa Lega dovette modificare parte del regolamento del gioco del basket solamente per provare a limitarlo, in qualche modo. Ma Wilt era lì, enorme, che brillava come la Stella che segna sempre il Nord, quando sei perso nella notte ed hai disimparato il senso del fuoco e sei disperatamente solo. Quello era Chamberlain. Vi sono soprannomi che racchiudono, in una manciata di lettere, l'epopea ed il lascito di un Eroe, come GOAT (il Più Grande) per Michael Jordan. Ve ne sono altri che fanno da fondamenta alle gesta, cementificano un Mito che dovrà compiersi: è il caso di LeBron James, The Chosen One, il Prescelto. Ci sono dei soprannomi che, in pieno stile Navajo, associano le qualità dell'individuo a quella del cielo e della terra che cammina, del suo animale o spirito guida. Che soprannomi perfetti sono Howlin' Wolf e Muddy Waters? Talmente chiarificatori, che sono divenuti i nomi stessi dei due uomini che suonavano e svisceravano dai torrenti delle loro vene il blues. 
E poi che Charles Bradley, l'Aquila Urlante. Esiste qualcosa di più americano di questo nome? Dentro vi è tutto: l'urlo di un popolo strappato dalla Madre e gettato nei campi di cotone; l'aquila che vola nei cieli simbolo assoluto di tutto quel che quella terra è stata e di quel che adesso è, i nativi e le cazzo di stelle e strisce.
Ogni giorno, per spostarmi da SanDo, il mio amato quartiere, al centro di Bologna, attraverso il Ponte di Staingrado, che circa un annetto fa è stato il protagonista di cemento di una sorta di progetto di riqualificazione artistica contro il degrado: una pagliacciata, fondamentalmente, atta a screditare il rispettabile lavoro dei writers che si aggirano guardinghi di notte e colorano la city facendo attenzione alle volanti. However, tutte le murate erano a disposizione di artisti- e non - che potevano dipingerle. Ecco, tra molti disegnetti (taluni dal cazzo, taltatri no), esattamente in cima al ponte, alla metà esatta tra centro e periferia, vi è questo murale dallo sfondo arancionissimo, col faccione sorridente & malinconico di Charles Bradley (una espressione che ho visto in foto solo a lui, una cosa assurda, indescrivibile), e sopra una scritta, STAY STRONG, SCREAMING EAGLE OF SOUL. Gli era stato diagnosticato un cancro allo stomaco. Ieri, l'Aquila Urlante non ce l'ha fatta. E l'uomo che aveva cantato, tra le decine di gemme soul, "come mai è così difficile farcela in America", se n'è andato via. E la sua storia è un altro piccolo tassello dell'Epica Americana, una epopea triste. Ma quello che ci resta sono i nomi.



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