IL MISTERO DEL BAULE DI WALTER BENJAMIN: una storia di spionaggio


Questa è una delle fotografie meglio rappresentative di Walter Benjamin: nascosto tra i suoi spessi occhialoni ed i folti baffi, la testa bassa volta al foglio e la penna in mano. Degli innumerevoli quadernetti su cui il nostro scriveva, ne usava uno esclusivamente per le annotazioni; uno su cui trascriveva i titoli dei libri da lui letti; ed un terzo dedicato agli estratti delle letture che decideva di riutilizzare come citazioni. I suoi manoscritti, su cui scriveva le proprie riflessioni e-o testi che poi avrebbe sistemato in bella forma, venivano compilati sul retro delle buste delle lettere ricevute dagli amici. Benjamin spesso si confidava agli stessi amici, parlava della necessità distruggere tutto quanto stava facendo. Questa è una delle innumerevoli leggende che aleggiano sulla sua figura e che alimentano il mito del suo scrivere, anzi, dei suoi scritti. Fondamentale, a riguardo, il suo amore per la citazione, ovvero quel singolo frammento di realtà in grado di distruggere la falsa apparenza di totalità di un testo, che se da un lato produceva malinconia, la consapevolezza dell'impossibilità di afferrare un concetto generale della realtà stessa, e dall'altro lato, tramite i procedimenti di ri-montaggio dei frammenti estratti, rompeva l'apparenza di autonomia, di organo unico dell'opera. La citazione, nell'ambito del visivo, vira verso il particolare, o meglio il caso. Come scriveva lui stesso riguardo al mezzo fotografico:

"Nonostante l'abilità del fotografo, nonostante il calcolo dell'atteggiamento del suo modello, l'osservatore sente il bisogno irresistibile di cercare nell'immagine quella scintilla minima di caso, di hic et nunc, con cui la realtà ha folgorato il carattere dell'immagine, il bisogno di cercare il luogo invisibile in cui, nell'essere in un certo modo di quell'attimo lontano si annida ancora oggi il futuro, e con tanta eloquenza che noi, guardandoci indietro, siamo ancora in grado di scoprirlo."

Si tratta comunque di una questione di scelte. Quando si estrae e si rimonta il frammento, quando ci si focalizza su un preciso punto della foto, si rompe l'apparenza di unità dell'opera e si rivela la sua costruzione artificiale. L'uomo del frammento ha ricevuto, nella sua produzione letteraria, un trattamento simile da partete discepoli, dagli ammiratori e anche dai detrattori: si vagheggia intorno a saggi fondamentali, carte perdute misteriosamente, scritti mai pubblicati o smarriti. E' stato lo stesso Benjamin ad alimentare tale aspetto. Lui ed il suo baule, una grossa valigia in pelle che, secondo la leggenda, avrebbe dovuto contenere la totalità dell'opera benjaminiana. Nei primi anni '30, in un clima di angosce e paure, il nostro era solito vagabondare tra Berlino, Parigi, Marsiglia ed Ibiza, con tappa fissa a Sanremo, dove la ex moglie Dora Sophie Kellner, con la quale era rimasto in buoni rapporti, era proprietaria di una pensione per stranieri, chiamata Villa Verde. Come Benjamin scriveva all'amico Max Horkheimer nel 1934:

"... non posso che rallegrarmi del fatto che, avendo la mia ex moglie aperto una pensioncina sulla Costa Azzurra, mi si offre la possibilità di esservi ospitato per uno o due mesi. Ho anche adunato gli appunti del mio volume su Parigi. Mi sto trascinando da un luogo all'altro un baule di carte. Purtroppo ho dovuto vendere la mia biblioteca per rendere trasportabile ciò che mi preme."

Benjamin pareva aver affidato tutto il proprio pensiero ad un baule che trascinava sempre con sé. L'autore Jean Selz si riferisce esplicitamente in un suo testo ad un baule portato dallo stesso Benjamin mentre si imbarcava per Ibiza nel '32; luogo dove gli avrebbe in seguito mostrato alcune parti dello scritto "Hashish a Marsiglia". 
Ibiza, in quegli anni, non era certo una delle mete turistiche più in voga. Sulla costa orientale, a Santa Eulalia, albergavano gli americani; ad ovest, a San Antonio, si era insediato invece un nutrito gruppo di tedeschi. Secondo quanto riportato dall'artista dadaista Raoul Hausmann, sull'isola esiliato, tra gli americani si nascondeva, sotto mentite spoglie, Gershom Sholem, grande amico e biografo di Benjamin, giunto in segreto per incontrare lo scrittore e prendere consegna dei manoscritti più importanti, preda ghiotta dei nemici nazisti. L'eredità letterearia e filosofica del nostro, all'epoca, era contesa dallo stesso Scholem, che ha scritto e ricopiato pagine e pagine dell'amico, e Theodor Adorno, fondatore dell'Archivio Benjamin di Francoforte, dove erano depositati altri suoi manoscritti e dattiloscritti. 
Benjamin, nelle parole di Salz, pareva terrorizzato dall'idea che qualcuno potesse entrare in possesso delle sue carte. Era un fuggiasco, qualche agente tedesco avrebbe potuto facilmente sabotare il suo baule e sottrargli materiale compromettente. Lo scrittore era letteralmente ossessionato da ciò. Il baule, simbolo della fuga, era il suo preziosissimo tesoro errabondo, agognato tanto dai nazisti, quanto dai curiosi amici e devoti del suo pensiero. 
Dopo aver abbandonato Ibiza nel '32, e sempre più convinto a dare fuoco alla sua intera produzione, Benjamin si era trasferito a Parigi. Evitava di uscire di casa. Non si allontanava dal baule, e non permetteva che nessuno lo toccasse. Dopo Parigi, fece ritorno a Sanremo, per poi partire, ancora una volta con baule a seguito, a Ibiza. Di nuovo. Confessò a Selz di aver lasciato diverse carte in custodia alla ex moglie.
Sull'isola tornò a vivere nella casetta di San Antonio che lo aveva accolto precedentemente. In quei giorni, secondo diverse testimonianze, venne a fargli visit Asja Lacis, descritta da Benjamin come "una rivoluzionaria russa di Rifa, una delle donne più eccezionali che abbia mai conosciuto... un'eccezionale comunista, che lavora nel partito sin dal tempo della rivoluzione russa". Si trattava della sua amante dell'epoca. I due furono visti seduti al caffè della piazza di Ibiza, gestito dal barman Toni. Alcuni tavoli più lontano, un uomo li osservava, facendo finta di prendere appunti. Ordinarono un misterioso cockail noir, a base di gin a 74 gradi, del quale però il barista Toni non ha mai voluto rivelare la mistura. Benjamin, con un passato da assiduo consumatore di droghe, vuotò il bicchiere tutto d'uni fiato.
Alcuni sostengono che subito dopo il cocktail noir, al tavolo di Benjamin e Lacis, si sia seduta Maria Z., una polacca conosciuta molto bene dai due.
Benjamin, secondo i racconti, crollò qualche minuto dopo aver ingerito il cocktail, e si risvegliò da solo, nel letto della sua casa, totalmente rintronato. Trovo il suo baule spalancato, e molte carte sparse a terra. Sia Maria che la Lacis erano scomparse. 
Il barman Toni sostiene che lo straniero seduto a qualche tavolo di distanza si fosse allontanato proprio al termine della bevuta di Benjamin, durante il trambusto causato dal suo svenimento. Ipotizza inoltre che si sarebbe potuto trattare di uno degli americani di Santa Eulalia. Oppure era stata la stessa Lacis? Era risaputa l'ammirazione di Benjamin per Trockij. Probabilmente, secondo Selz, il baule poteva contenere documenti compromettenti per il regime sovietico stalinista. Oppure erano stati i nazi? E' risaputo che nell'isola spagnola fossero presenti delle spie naziste, che furono riconosciute durante la guerra civile quando consegnarono dei tedeschi ostili al regime di Hitler. 
In quel folle ed oscuro clima, il baule di Benjamin era una preda straordinaria, il luogo che poteva racchiudere tutti i segreti e che poteva raccogliere tutti i documenti in grado di svelare gli intrichi spionistici che avvolgenano l'Europa. O forse no? Forse il baule, con tutti i suoi misteri, era davvero rimasto a San Remo. Caterina Amelio, la donna che acquistò la pensione Villa Verde dalla ex moglie dello scrittore, dichiarò al critico della fotografia Giuseppe Marcenaro, da lui incalzata, di aver rinvenuto, nascosto in una delle stanze, un baule pieno di cartacce. Baule che, considerato come inutile, fece bruciare con tutto il suo contenuto. 

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