EAU LA MADONNA: Caetano Veloso "Caetano Veloso" (1969)



COSA E' EAU LA MADONNA: è davvero celebre, il motto del grande Renatone Pozzetto "EH LA MADONNA!", volto ad indicare una situazione particolarmente eclatante (qui trovate un breve riassunto video: https://www.youtube.com/watch?v=x9FMW1jAuPY). Anni fa è apparsa sulla rete un'immagine meravigliosa di un profumo fittizio, che gioca con l'assonanza tra l'eh la madonna e l'eau, l'acqua, insomma il modo in cui viene pubblicizzato alla francese un profumo di classe. 



Ordunque, EAU LA MADONNA altro non è che la sezione di S.N.I.N. (Sette Note in Nero, ma si capiva, dai) che si occupa di quei particolarissimi, preziosi aromi sprigionati dai DISCHI DELLA MADONNA ogni volta che vengono posizionati sul piatto ed accarezzati dalla puntina; aromi che esplodono come i fiori in primavera, e che inebriano i nostri organi preposti alla funzione uditiva, e anche qualcos'altro. Cosa rende un DISCO DELLA MADONNA tale? Fondamentalmente, il suo profumo, of course.
Come praticamente tutto su S.N.I.N., ad oggi EAU LA MADONNA non segue logica alcuna, si muove così, un po' a sentimento, anzi, ad minchiam.


CAETANO VELOSO - "CAETANO VELOSO" (1969)

Anno Domini 1969: nei dodici mesi precedenti in Brasile era davvero successo il Panico. In luglio usciva "TROPICALIA: OU PANIS ET CIRCENCIS", quel capolavoro ideologico & sonoro plasmato in prima persona da Caetano, assiema al compagno di sventure Gilberto Gil, la sorella Gal Costa, Tom Zè e Os mutantes agli strimenti. La rivoluzione tropicalista si espandeva a macchia d'olio mentre i militari, in dicembre, prendevano di fatto il potere.
Caetano ha sempre avuto un pregio: metterci la faccia. In tv, nelle università, davanti ai colleghi; e questo atteggiamento, il frocione (così veniva chiamato, il nostro, da molti brasiliani, per via del suo vestiario e dei suoi modi) lo paga a caro prezzo; nonostante l'enorme successo che riscuoteva nel periodo sembrasse quasi innalzarlo a status di intoccabile, finisce per due mesi al gabbio, ovviamente sempre al fianco di Gilberto Gil; e, prima di essere gentilmente mandato in esilio a Londra, viene confinato a Salvador, con l'obbligo di non muoversi da lì e di non comparire su alcun media. 


Ed è con questo spirito che Veloso incide, come sempre al fianco di Gilberto Gil, il suo secondo album solista. O meglio, ne registra una parte: Caetano canta, Gilberto suona la chitarra acustica, e poi spediscono tutto il materiale a Sao Paulo, nelle mani di Rogério Duprat, che aggiunge tutto il resto, AKA tutti quegli elementi tipici della M.P.B.: chitarroni elettrici, basso, pelli, fiati ed archi. Duprant non è il primo degli sciocchi: brasilianissimo, allievo di Stockhausen in Europa, è stato definito dalla stampa il "George Martin tropicalista" o il "Brian Wilson del Brasile"; insomma, uno che sa il fatto suo. Uno che negli anni ha coniato, a conti fatti, il sound tropicalista; ma anche uno che sa bene da quale parte stare, ovvero contro il governo militare (perché il tropicalismo è anche ideologia, l'ideologia del "Es proibido proibir"). Ed è anche per questo motivo che insiste nel farsi inviare il prima possibile da Caetano tutto il materiale sonoro. 
Paradossalmente, anche senza conoscere la storia dietro alla produzione dell'album, si percepisce, anche ad un primo distratto ascolto, quanta distanza vi sia tra  o mundo acustico dipinto dai due esuli a Salvador e o mundo elétrico-orquestral versatovi successivamente a Sao Paulo; quanti oceani separino le melodie presebbene, festaiole, tipicamente tropicaliste, da quelle strappacuore, saudadiche, sulle quali si fonderà parte della carriera di O Maestro. Il disco soffre di una sorta di schizofrenia che si manifesta fin dalla stessa copertina: una firma di Veloso su sfondo totalmente bianco; come a voler da un lato omaggiare il capolavoro beatlesiano di qualche mese prima (non a caso in brasile questo LP è conosciuto come l'Album Branco di Caetano), e dall'altro provare disperatamente a darsi una identità, dopo l'arresto e con la certezza che il peggio debba ancora venire. Ma non solo: cantato in due lingue, portoghese e per la prima volta inglese, forse per provare a darsi un respiro internazionale? O prepararsi ad emigrare? Questo è un album dalle due facce, che inizialmente si perde in prismi sonori lisergici, fanfare carnevalesche eccessivamente urlate, samba di festa per una conclamata sconfitta. Il tutto però risulta fittizio, ha senso solo come nascondiglio della propria stessa anima depressa; anima che emerge appieno nella dimensione acùstica. Nei momenti migliori, la produzione di Duprat riesce a sostenere la voce scazzata di Veloso, ad assecondare i suoi fantasmi con un tappeto sonoro che di tropicalista, in questo album, ha praticamente solo il nome ("Lost in Paradise" è Harrison puro, è maestosa). Ma quando si lascia pieno spazio di azione al cantare depresso-rassegnato di Caetano e all'accompagnamento chitarristico di Gil, che si infrange lento e ripetitivo come le onde, lì sì che si raggiungono i momenti di resa, di grazia, di nulla pieno, come solo può essere il mare aperto. Questo disco è pieno di riferimenti marinareschi e, proprio come nel finale di "The Empty Boat" (uno dei testi più rassegnati: "from the east to the west, oh the stream is long, yes, my dream is wrong, from the birth to the death") ci getta al largo su una scialuppa, ci spinge alla deriva, ci allucina con visioni causate da giorni senza cibo né acqua. L'Album Branco è il diario di bordo di un artista che cerca se stesso, in un luogo, il Brasile, che è intenzionato a cacciarlo. Che sia destinato ad abbandonare terra, a tagliare radici, a perdersi, Veloso lo sa meglio di noi; che decida di narrarcelo, questo invece è un dono stesso del mare, come una conchiglia. Quando ascoltate l'Album Branco, tenetelo bene a mente.


Un mio carissimo amico, nonché collezionista di dischi del Brazil, mi ha fatto notare un particolare interessantissimo: nel retro-copertina di tutte le prime stampe brasiliane dei dischi Philips (che produceva la maggior parte degli artisti dell'epoca, tra cui lo stesso Veloso) compare sempre la frase "DISCO E' CULTURA". Quanto diamine è vero?


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