OFFERING: l'eredità di Trane a 50 anni dalla scomparsa - parte II

GLI ULTIMI QUATTRO ALBUM IN STUDIO DI JOHN COLTRANE NELLE SUE PAROLE. - LA FINE DI UN'ERA. - UN BREVE EPITAFFIO.


PARTE II

MEDITATIONS

Ve lo immaginereste, chessò, un ipotetico sequel di "Taxi Driver", oppure, un "Moby Dick: il Ritorno"? Sinceramente, io per niente affatto. Esistono prodotti talmente di culto, completi nella loro circolarità di espressione,  che è praticamente impossibile concepirne un successore così sfacciatamente diretto: si tratta, volenti o nolenti, di pietre di paragone. Semmai (e questa è una cosa che affascinerebbe tutti noi consumatori) sarebbe bello se, al posto del seguito, vi fosse in realtà una più onesta ripresa. Uno spin-off, chiamatelo come preferite insomma, ma è proprio su questo labile filo che si muove Meditations (https://www.youtube.com/watch?v=TuzfMR-7v1I) mentre scorre sulla puntina del mio giradischi Akai anni '80 (lo intuisco dal design). L'errore da parte della critica è stato considerare questo album come il successore del successone A Love Supreme. Ma, in tutta onestà, può uno dei , boh, tre album più fondamentali della storia del Jazz, dotarsi di un sequel? Coltrane stesso prova a fare un po' di chiarezza a riguardo, ricollegando il discorso strettamente musicale al proprio percorso spirituale (aspetti praticamente inscindibili nel suo ultimo periodo di vita) e allora sì che, in qualche modo, l'idea di seguito ha ragion d'essere: "Una volta che si coglie l'esistenza nella vita di questa forza verso l'unità, non la si può dimenticare. Diventa parte di quello che si fa. In questo senso, si tratta di uno sviluppo di A Love Supreme, dato che la mia concezione di quella forza continua a cambiare forma. Il mio scopo nel meditare in musica su di essa, tuttavia, rimane lo stesso. Ed è di elevare le persone per quanto mi è possibile. Di ispirarle a utilizzare sempre di più le loro capacità per vivere vite piene di significato. Perché certamente la vita ha un significato."
Mai come in questo caso du gust is megl che uan: e infatti doppio sax tenore, con Trane che lascia ampio spazio di manovra a Pharoah Sanders, da considerarsi ormai membro a tutti gli effetti della band. E doppia batteria: al fedele Elvin Jones si aggiunge il giovane Rashied Ali. "Sento il bisogno", confessa Coltrane, "di più tempo, più ritmo tutto intorno a me. E  con più di un batterista il ritmo può essere multidirezionale. Un giorno potrò aggiungere anche un suonatore di conga e perfino un gruppo di batteristi". Cosa che farà, dal vivo a San Francisco nel '66.
La più iconica dichiarazione di Trane appare, manco a farlo apposta sulle note di copertina di questo monumentale Meditations: "Non c'è mai fine. Ci sono sempre nuovi suoni da immaginare, nuovi sentimenti da a cui arrivare. E c'è sempre la necessità di continuare a purificare questi sentimenti e questi suoni in modo da poter vedere ciò che in realtà abbiamo scoperto nel suo stato più puro. Così da poter vedere sempre più chiaramente chi siamo. In questo modo possiamo dare l'essenza a coloro che ascoltano, il meglio di quello che siamo. Ma per fare ciò, a ciascun passaggio, dobbiamo continuare a pulire lo specchio". Qui dentro c'è (quasi) tutto Coltrane, la sua missione, il suo testamento. Amen.

EXPRESSION

Mi ricordo che da ragazzino non riuscivo mai a spiegarmi bene le differenze tra Impressionismo ed Espressionismo, l'unica cosa di cui ero assolutamente sicuro era il fatto che, l'Espressionismo, arrivava dopo. Col tempo poi ho imparato a distinguerli ("elementare, Watson") e, successivamente, quando ho finalmente preso la faccenda della New Thing seriamente, ho scoperto che anche Coltrane aveva dipinto quadri. Quello di Impressions è uno dei miei preferiti in assoluto, perchè sancisce, in studio (e poi anche dal vivo: https://www.youtube.com/watch?v=PfwryAe0k-w), l'incontro tra Trane ed Eric Dolphy; ovvero, per chi vi scrive, l'apice, l'apogeo, della breve e vorticosa storia del Jazz. Dopo quei giorni, pareva come se tutto fosse stato già detto. 

l'altro quadro è particolare: Coltrane è già morto quando questo Expression
(https://www.youtube.com/watch?v=yCx2zAdsZsA) compare, e il disco, più che album vero e proprio, con un capo e una coda, si manifesta a noi comuni mortali sotto forma di collage di vari momenti (la maggior parte dei quali "prelevati" dalle studio sessions di Interstellar Space) che, solo alla lontana, riescono a fotografare quel che si preannunciava il nuovo corso della carriera di Trane, con una formazione totalmente rinnovata e milioni di idee che gli balzavano in testa (per farvi un'idea di quel periodo, buttatevi su Live at the Village Vanguard again!). Però, c'è sempre un però: la traccia che da il nome al disco è l'ultima registrata in studio prima della scomparsa del nostro.
Basterebbe questo a rendere Expression un piccolo, prezioso tesoro. Poi ascoltandola ci rendiamo conto di una cosa, che in fondo è quel che sospettavamo da sempre: che alla fine si torna sempre da dove tutto è incominciato. Che le prime note, come in Ascension, citano sfacciatamente l'intro di Aknowledgement, risvegliano gli spiriti mai sopiti di A Love Supreme. Il tardo Coltrane è questo: esploratore in cerca dell'ouroboros, il serpente che si morde la coda laddove l'inizio e la fine si incontrano. Difficile immaginare dove si sarebbe diretto Trane, se fosse rimasto in vita altri anni; quale strada avrebbe percorso, da chi si sarebbe lasciato ispirare e chi avrebbe preso con se. A me piace immaginarlo come nel suo ultimo live a Newport, mentre trasforma quella "My Favourite Things" che aveva accompagnato tutta la sua carriera in una musica da incantatore di serpenti, tra suono e gesto mentre plasma, si aggroviglia, diffonde. Amen.
https://www.youtube.com/watch?v=as1rTILOZDQ

MY FAVOURITE THINGS
(breve ricordo di Herb O'Brien apparso sulle pagine di "The Seed: Voice of Chicago Underground", 11-25 agosto 1967)

Qualche volta durante un set smetteva di suonare e camminava fino in fondo alla sala del nightclub per ascoltare la sezione ritmica. C'erano sempre persone in piedi laggiù, appoggiate alla parete. Trovava un posto, accendeva una sigaretta e stava lì ad ascoltare in silenzio. Non si poteva fare a meno di notarlo laggiù tra la gente. Era l'unico che non schioccava le dita o canterellava o diceva "yeah" fuori tempo.
Se Elvin o McCoy o Reggie facevano qualcosa che gli piaceva particolarmente, sulla sua faccia, solitamente impassibile, aleggiava un piccolo sorriso; ma sono gli occhi che mi ricordo. Aveva degli occhi felici.
Una sera staccavo i biglietti e il posto era strapieno e non ero andato in bagno da ore. Mi dette un'occhiata e mi disse "i miei ragazzi vogliono stare un po' da soli, tu vai, ai biglietti penso io". Ed è quello che ha fatto. Il locale non aveva mai abbastanza soldi, e nei locali jazz la regola era che si dovevano pagare prima i musicisti. Un giorno di paga, la sera entrò nell'ufficio del direttore e sentì che mi chiedeva chi pensavo avrebbe voluto essere pagato. Lui ci interruppe, fu l'unica volta che l'ho sentito interrompere qualcuno, e disse "Dammi metà dei soldi per i miei ragazzi e paga il tuo personale con il resto... per un po' io sono a posto". E lo era davvero.
Parlava di rado, sul palco e fuori. Non annunciava mai i set ma andava sul palco e aspettava lì, tranquillamente, finchè chi stava parlando non si zittiva, e allora lui e i suoi musicisti iniziavano a suonare. Il contratto diceva che dovevano suonare per quaranta minuti circa e poi fare un riposo di venti minuti. Ma spesso era assorto in un'idea e suonava per un'ora e mezza, ma diciannove minuti dopo era lì che saliva sul palco aspettando tranquillamente che i chiacchieroni avessero finito il loro set in modo che lui potesse cominciarne un altro dei suoi.
La domenica facevamo delle matinée. Non avevano molto successo, se uno considera il numero totale di persone presenti. Una domenica vennero solo quattro persone. Uno dei suoi musicisti iniziò a dire di restituire i soldi e andarsene. Coltrane si alzò, andò sul palco, rimase fermo un secondo e poi disse piano alle quattro persone sparse nella sala "Cosa state facendo laggiù in fondo? Venite qui vicini". E mentre i quattro si sedevano ai piedi del palco si girò verso i suoi uomini e disse "Datevi da fare". Ed è quello che fecero, per due ore.
A parte qualche occasionale sigaretta un po' strana non ha mai fatto qualcosa che gli sbirri avessero disapprovato, ma non ha mai guardato con superiorità quelli che lo facevano, si limitava a dire "Io non ho bisogno di essere più fuori di quanto sono già".
John Coltrane, morto a quarant'anni. Datevi da fare.



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